MISS ROSE
Miss Rose osservava Eliza più con curiosità che con compassione, perché conosceva bene i sintomi e per sua esperienza diretta sapeva che il tempo e le contrarietà spengono anche i più pericolosi incendi d'amore. Aveva appena diciassette anni quando si era innamorata di folle passione di un tenore viennese. Allora viveva in Inghilterra e sognava di diventare una diva, nonostante l'opposizione tenace di sua madre e del fratello Jeremy, capofamiglia dalla morte del padre. Nessuno dei due riteneva che cantare l'opera fosse un'attività adatta a una signorina, specialmente perché si svolgeva in teatro, di sera, e con abiti scollati. Non poteva contare nemmeno sull'appoggio del fratello John, che si era arruolato nella marina mercantile e faceva capolino in casa due volte all'anno, e sempre di fretta. Arrivava e scombussolava la routine della piccola famiglia, esuberante e abbronzato dal sole di altre latitudini, facendo mostra di qualche nuovo tatuaggio o cicatrice. Distribuiva regali, stordiva i famigliari con i suoi racconti esotici e spariva immediatamente verso i quartieri delle donne di malaffare, dove rimaneva fino al momento del nuovo imbarco. I Sommers erano gentiluomini di provincia, senza grandi ambizioni. Per diverse generazioni avevano posseduto della terra, ma in seguito il padre, stanco di stupide pecore e di magri raccolti, preferì tentare la fortuna a Londra. Pur senza l'avidità del vero collezionista, era talmente appassionato di libri da essere capace di privare del pane la sua famiglia e di indebitarsi pur di acquistare le prime edizioni firmate dei suoi autori preferiti. Dopo infruttuosi tentativi nel campo del commercio, decise di lasciar spazio alla sua autentica vocazione e finì con l'aprire un negozio di libri usati e di testi editi da lui. Nel retrobottega installò una piccola macchina da stampa a cui lavorava con due aiutanti, mentre su un soppalco del medesimo locale fioriva a passo di lumaca il commercio di volumi rari. Dei tre figli, solamente Rose era interessata al suo lavoro; la bambina diventò grande coltivando la passione per la musica e per la lettura e quando non era seduta al piano o intenta agli esercizi di vocalizzo, la si poteva trovare in un angolo a leggere. Il padre soffriva del fatto che fosse lei innamorata dei libri, piuttosto che Jeremy o John, che avrebbero ereditato l'attività. Alla sua morte, i figli maschi liquidarono libreria e stamperia, John si diede al mare e Jeremy si fece carico della madre vedova e della sorella. Disponeva di un modesto stipendio come dipendente della Compagnia Britannica di Importazione ed Esportazione, di una modica rendita lasciata dal padre e degli sporadici contributi del fratello John, che non sempre arrivavano sotto forma di denaro contante e sonante, bensì come merce di contrabbando. Jeremy, scandalizzato, riponeva quelle casse peccaminose nel solaio senza aprirle, se non alla visita successiva del fratello che si occupava di venderne il contenuto. La famiglia si trasferì in un appartamento piccolo e costoso per il suo bilancio, ma ben situato nel cuore di Londra, perché lo ritenne un investimento. Dovevano far contrarre un buon matrimonio a Rose.
A diciassette anni, la bellezza della ragazza iniziò a fiorire e di pretendenti dalla buona posizione economica disposti a morire d'amore ne aveva da vendere, ma mentre le sue amiche si affannavano alla ricerca di un marito, lei cercava un professore di canto. Conobbe così Karl Bretzner, un tenore viennese giunto a Londra per interpretare diverse opere di Mozart; quella di Le nozze di Figaro sarebbe stata la sua serata clou, con tanto di partecipazione della famiglia reale. Il suo aspetto non tradiva minimamente il prodigioso talento: sembrava un macellaio. Il suo fisico, rachitico dalle ginocchia in giù, ma dalla pancia voluminosa, era privo di eleganza, e il suo viso sanguigno, incoronato da un cespuglio di riccioli smorti, risultava piuttosto volgare; tuttavia, quando apriva la bocca per dilettare il mondo con il torrente della sua voce, si trasformava in un altro essere, cresceva in altezza, il ventre spariva nell'ampio petto e la rossa faccia teutonica veniva pervasa da una luce olimpica. Per lo meno, così lo vedeva Rose Sommers, che fece in modo di trovare i biglietti per ogni spettacolo. Arrivava al teatro molto prima dell'apertura e, sfidando gli sguardi scandalizzati dei passanti, poco avvezzi a vedere una ragazza della sua condizione da sola, attendeva per ore nei pressi dell'ingresso degli attori per intravedere il maestro che scendeva dalla carrozza. La sera della domenica, l'uomo notò la bellezza appostata per la strada e si avvicinò per parlarle. Tremando, lei rispose alle domande e confessò la sua ammirazione per lui e il desiderio di seguire i suoi passi nell'impervio, ma divino sentiero del bel canto, come affermò letteralmente.
"Dopo lo spettacolo venga nel mio camerino e vedremo cosa posso fare per lei," le disse con la sua voce incantevole e un forte accento austriaco.
E così lei fece, toccando il cielo con un dito. Non appena il pubblico, levatosi in piedi, ebbe concluso l'ovazione, un usciere mandato da Karl Bretzner la condusse dietro alle quinte. Lei non aveva mai visto le viscere di un teatro, ma non perse tempo ad ammirare gli ingegnosi macchinari con cui simulare i temporali né i paesaggi dipinti sui fondali: suo unico obiettivo era conoscere l'idolo. Lo trovò avvolto in una vestaglia di velluto blu reale bordata d'oro, il viso ancora truccato e un'elaborata parrucca di riccioli bianchi. L'usciere li lasciò soli e chiuse la porta. La stanza, stipata di specchi, mobili e tendaggi, sapeva di tabacco, belletti e muffa. In un angolo era collocato un paravento dipinto con scene di donne rubiconde in un harem turco e alle pareti erano appesi sulle grucce i costumi dell'opera. Quando vide il suo idolo da vicino, per alcuni momenti l'entusiasmo di Rose si raffreddò, ma lui seppe immediatamente recuperare il terreno perduto. Le prese le mani tra le sue, se le portò alla bocca e le baciò a lungo, poi emise un do di petto che fece sussultare il paravento con le odalische. Gli ultimi accenni di ritrosia vennero rasi al suolo, come le mura di Gerico, nella nube di polvere che la parrucca sprigionò una volta che l'artista, con un gesto appassionato e virile, l'ebbe lanciata su una poltrona, dove rimase inerte come un coniglio senza vita. I capelli schiacciati da una fitta retina, sommati al trucco, gli davano un'aria da cortigiana decrepita.
Sulla medesima poltrona su cui era atterrata la parrucca, un paio di giorni dopo Rose gli avrebbe offerto la sua verginità, esattamente alle tre e un quarto del pomeriggio. Il tenore le aveva dato appuntamento con la scusa di mostrarle il teatro quel martedì, giorno di riposo. Si incontrarono segretamente in una pasticceria in cui lui assaporò con delicatezza cinque éclairer di crema e due tazze di cioccolata, mentre lei rigirava il suo tè senza riuscire a inghiottirlo perla paura e per ciò che presentiva. Subito dopo si recarono al teatro. A quell'ora era frequentato unicamente da un paio di donne che pulivano la sala e da un operaio che preparava le lampade a olio, le torce e le candele per il giorno successivo. Karl Bretzner, esperto in materia d'amore, con un colpo di magia fece apparire una bottiglia di champagne, e riempì due calici che bevvero immediatamente brindando a Mozart e a Rossini. Poi sistemò la giovane nel palco di felpa imperiale in cui prendeva posto solamente il re, decorato dall'alto in basso con paffuti amorini e rose di gesso, e si diresse verso il palcoscenico. In piedi su un pezzo di colonna di cartone dipinto, illuminato dalle torce appena accese, cantò solo per lei un'aria da Il barbiere di Siviglia, facendo bella mostra di tutta la sua agilità vocale e del morbido delirio della sua voce in interminabili fioriture. Quando si spense l'ultima nota del suo omaggio, sentì i singhiozzi lontani di Rose Sommers, corse verso di lei con inattesa scioltezza, attraversò la sala, scavalcò con due salti il palco e cadde ai suoi piedi in ginocchio. Senza fiato, posò la testa sulla gonna della ragazza, sprofondando il viso tra le pieghe di seta color muschio. Piangeva insieme a lei perché, senza volerlo, anche lui si era innamorato; quella che era cominciata come una delle tante conquiste passeggere, in poche ore si era trasformata in passione incandescente.
Rose e Karl si alzarono, appoggiandosi l'uno all'altra, titubanti e atterriti dall'ineluttabilità, procedettero, senza sapere come, per un lungo corridoio in penombra, salirono una breve scalinata e raggiunsero la zona dei camerini. Il nome del tenore appariva scritto in corsivo su una delle pone. Entrarono in quella stanza zeppa di mobili e costumi di lusso, impolverati e sudati, dove due giorni prima erano stati da soli perla prima volta. Non c'erano finestre e per un attimo si immersero nel rifugio dell'oscurità, dove ritrovarono il fiato perduto in singhiozzi e sospiri, mentre lui accendeva prima un fiammifero e poi le cinque candele di un candelabro. Alla tremula luce gialla delle fiamme si contemplarono, in modo goffo e confuso, investiti da un torrente di emozioni senza sfogo, senza riuscire ad articolare una sola parola. Rose non resse agli sguardi che la trafiggevano e nascose il volto tra le mani, ma lui gliele allontanò con la stessa delicatezza con cui prima aveva sminuzzato i pasticcini alla crema. Iniziarono a scambiarsi lacrimevoli bacetti sul viso simili a becchettii di colombe che, con naturalezza, sfociarono poi in baci veri e propri. Rose, che aveva avuto teneri incontri, incerti e fuggevoli, con alcuni dei propri spasimanti, in cui un palo di loro erano arrivati a sfiorarle la guancia con le labbra, non poteva certo immaginare che fosse possibile arrivare a un tale grado d'intimità, che la lingua di un uomo potesse attorcigliarsi alla sua come una biscia furtiva e che la saliva altrui potesse bagnarla esternamente e invaderla internamente, ma la ripugnanza iniziale fu immediatamente vinta dallo slancio della sua giovane età e dall'entusiasmo per la lirica. Non solo restituì le carezze con pari intensità, ma prese persino l'iniziativa di liberarsi del cappello e della mantellina di astrakan grigio che le copriva le spalle. Da lì a farsi slacciare la giacchetta e poi la camicetta passò solo il tempo di un paio di assestamenti. La fanciulla seppe seguire passo per passo la danza della copula guidata dall'istinto e dalle infuocate letture proibite che aveva sottratto segretamente dagli scaffali del padre. Quello fu il giorno più memorabile della sua vita e negli anni a venire l'avrebbe ricordato nei minimi particolari, abbelliti ed enfatizzati. Quella sarebbe stata la sua unica fonte d'esperienza e conoscenza, l'unico motivo ispiratore che avrebbe alimentato le sue fantasie e creato, anni dopo, un'arte che l'avrebbe resa famosa in alcuni circoli molto riservati. Quel giorno meraviglioso poteva essere paragonato solamente a un altro giorno di marzo di due anni dopo, a Valparaìso, quello in cui Eliza, neonata, le era piovuta tra le braccia per consolarla dei figli che non avrebbe avuto, degli uomini che non avrebbe potuto amare e del focolare che non avrebbe mai costituito.
Il tenore viennese si rivelò un amante raffinato. Amava e conosceva a fondo le donne, ma fu capace di cancellare dalla memoria gli sparsi amori del passato, la frustrazione dei molteplici addii, gelosie, eccessi e inganni di altre relazioni, per consegnarsi con totale innocenza alla breve passione per Rose Sommers. La sua esperienza non proveniva da patetici abbracci con squallide prostitute; Bretzner si pregiava di non aver mai dovuto pagare per il piacere, perché donne di svariate condizioni, dalle umili cameriere alle altere contesse, gli si erano arrese incondizionatamente non appena lo avevano sentito cantare. Le arti dell'amore le avevi imparate insieme a quelle del canto. Aveva dieci anni quando si era innamorata di lui colei che avrebbe funto da mentore, una francese dagli occhi di tigre e i seni di puro alabastro, che in quanto a età poteva essere sua madre e che a sua volta, all'età di tredici anni, in Francia, era stata iniziata da Donatine-Alphonse-François de Sade. Figlia di un secondino della Bastiglia, aveva conosciuto il famoso marchese nella cella immonda in cui egli, alla luce di una candela, scriveva le sue storie perverse.
Lei andava a guardarlo dalle sbarre semplicemente per infantile curiosità, senza sapere che il padre l'aveva venduta al prigioniero in cambio di un orologio d'oro, l'ultima proprietà del nobile caduto in miseria. Una mattina, mentre guardava dallo spioncino, il padre si tolse il mazzo di grandi chiavi dalla cintura, aprì la porta e con uno spintone scaraventò la ragazzina nella cella quasi fosse il pasto per i leoni. Cosa accadde lì, non era in grado di ricordarlo, ma di fatto rimase insieme a Sade, lo seguì dal carcere alla miseria, peggiore della libertà, e apprese tutto ciò che lui poté insegnarle. Quando nel 1803 il marchese venne internato nel manicomio di Charenton, lei si ritrovò sulla strada, senza un soldo, ma con un bagaglio di sapienza amatoria che le fruttò un marito più vecchio di lei di cinquantadue anni e molto ricco. L'uomo morì dopo poco, sfinito dall'intemperanza della giovane moglie che si trovò finalmente libera e con i mezzi per fare tutto ciò che desiderava. Aveva trentaquattro anni, era sopravvissuta al brutale apprendistato con il marchese, alla miseria dei tozzi di pane secchi della giovinezza, alla baraonda della Rivoluzione francese, alla paura delle guerre napoleoniche, e ora doveva sopportare la repressione dittatoriale dell'Impero. Era stanca e il suo spirito chiedeva una tregua. Decise di cercarsi un luogo sicuro in cui passare in pace il resto dei suoi giorni e scelse Vienna. In quel periodo della sua vita conobbe Karl Bretzner, figlio di una coppia di vicini: era un bambino di soli dieci anni e già cantava come un usignolo nel coro della cattedrale. Grazie a lei, diventata amica e confidente dei Bretzner, quell'anno il ragazzino non venne castrato allo scopo di preservare la sua voce da cherubino, come aveva suggerito il direttore del coro.
"Non toccatelo e in poco tempo sarà il tenore più pagato d'Europa," pronosticò la bella. Non si sbagliò.
Nonostante l'enorme differenza d'età, tra lei e il piccolo Karl si instaurò un insolito legame. Lei ammirava la purezza di sentimenti e la dedizione del bambino alla musica; lui aveva trovato la musa che non solo aveva salvato la sua virilità, ma che gli avrebbe insegnato anche a usarla. All'epoca in cui cambiò definitivamente la voce e iniziò a radersi, aveva sviluppato la proverbiale abilità degli eunuchi di soddisfare una donna in modi non previsti dalla natura e dall'abitudine, ma con Rose Sommers non corse rischi. Decise che non era proprio il caso di assalirla con focosità in un baccanale di carezze troppo audaci, perché non si trattava di stupirla con trucchi da serraglio, e non poteva certo sospettare che in meno di tre lezioni pratiche l'alunna l'avrebbe superato in inventiva. Era un uomo attento ai dettagli e conosceva il potere di seduzione della parola giusta nel momento dell'amore. Con la mano sinistra liberò a uno a uno i piccoli bottoni di madreperla sulla schiena, mentre con quella destra le sfilava le forcine dell'acconciatura, senza perdere il ritmo dei baci intercalati a una litania di complimenti. Le parlò della snellezza della sua vita, del biancore antico della sua pelle, della classicità della curva del collo e delle spalle, che provocavano in lui un incendio, un'eccitazione incontrollabile.
"Mi fai impazzire... Non so cosa mi stia succedendo, non ho mai amato e non amerò mai più nessuno come amo te. Questo è un incontro voluto dagli déi, siamo destinati ad amarci," mormorava a più riprese.
Le recitò il suo repertorio completo, ma lo fece senza malizia, profondamente convinto della propria onestà, abbagliato com'era da lei. Sciolse i lacci del corsetto e la spogliò della sottoveste per lasciarle unicamente indosso i lunghi pantaloni di batista e una camicetta trasparente che rivelava le fragole dei capezzoli. Non le tolse gli stivaletti di cordovano dai tacchi ritorti né le calze bianche sostenute alle ginocchia da giarrettiere ricamate. A quel punto si trattenne, ansimando, con un fragore tellurico nel petto, convinto che Rose Sommers fosse la donna più bella dell'universo, un angelo, e che se non si fosse calmato il cuore gli sarebbe scoppiato come un petardo. Senza fatica la sollevò tra le braccia, attraversò la stanza e la collocò in piedi davanti a un grande specchio dalla cornice dorata. La luce baluginante delle candele e i costumi di scena appesi ai muri, in un tripudio di broccati, piume, velluti e pizzi scoloriti, davano alla scena un tocco di irrealtà.
Inerme, ebbra di emozioni, Rose si guardò allo specchio e non riconobbe la donna in biancheria intima, coi capelli arruffati e le guance in fiamme, cui un uomo, altrettanto sconosciuto, baciava il collo e accarezzava i seni a piene mani. La pausa di desiderio diede tempo al tenore per recuperare il fiato e parte della lucidità perduta durante i primi assalti. Iniziò a denudarsi senza pudore davanti allo specchio e, va detto, nudo faceva miglior figura che vestito. Ha bisogno di un buon sarto, pensò Rose, che non aveva mai visto un uomo nudo, nemmeno i suoi fratelli nell'infanzia, e che faceva provenire le sue conoscenze dalle esagerate descrizioni dei libri piccanti e da alcune cartoline giapponesi che aveva trovato nel bagaglio di John in cui gli organi maschili avevano dimensioni francamente ottimiste. Il biribissi ritto e rosato che apparve ai suoi occhi non la spaventò, come temeva Karl Bretzner, ma le provocò un'incontenibile e allegra risata. E ciò diede il tono a quel che poi seguì. Al posto della solenne e piuttosto dolorosa cerimonia solitamente rappresentata dalla deflorazione, essi si dilettarono in giocosi inarcamenti, si inseguirono nella stanza saltando sopra i mobili come bambini, bevvero il resto dello champagne e ne aprirono un'altra bottiglia per versarsi addosso fiotti spumeggianti, si dissero sconcezze tra risate e promesse d'amore in sussurri, si morsicarono, si leccarono e nella palude senza fondo dell'amore appena inaugurato si perlustrarono con sfrenatezza per tutto il pomeriggio e fino a sera avanzata, completamente dimentichi dell'ora e del resto dell'universo. Esistevano solo loro due. Il tenore viennese condusse Rose ad altitudini epiche e lei, da allieva diligente, lo seguì senza esitare e una volta sulla cima iniziò a volare da sola con un sorprendente talento naturale, lasciandosi guidare dall'istinto e chiedendo ciò che non riusciva a indovinare, lasciando sconcertato il maestro e superandolo infine con la sua improvvisata abilità e lo sconcertante dono del suo amore. Quando riuscirono a separarsi e ad atterrare nella realtà, l'orologio segnava le dieci di sera. Il teatro era vuoto, fuori regnava l'oscurità e oltretutto era scesa una nebbia fitta come albume a neve.
Per tutta la durata della stagione lirica londinese gli amanti si scambiarono freneticamente missive, fiori, cioccolatini, versi copiati e piccole reliquie sentimentali. Si incontravano non appena potevano; la passione fece perder loro di vista qualsiasi prudenza. Per guadagnare sul tempo cercavano camere d'albergo vicine al teatro, per nulla impensieriti dalla possibilità di essere riconosciuti. Rose scappava da casa con scuse ridicole e sua madre, terrorizzata, non confessava nessuno dei suoi sospetti a Jeremy e pregava affinché l'intemperanza della figlia fosse passeggera e si dileguasse senza lasciare traccia. Karl Bretzner arrivava tardi alle prove e dal tanto spogliarsi a qualsiasi ora si buscò un raffreddore che gli impedì di cantare in due spettacoli, ma lungi dal dispiacersene, ne approfittò per fare l'amore esaltato dai brividi della febbre. Si presentava nelle stanze a ore con fiori per Rose, champagne per brindare e farsi il bagno, pasticcini alla crema, poesie scritte al volo da leggere a letto, oli profumati con cui strofinarsi in luoghi fino ad allora inesplorati, libri erotici da sfogliare alla ricerca delle scene più ispiratrici, piume di struzzo con cui farsi il solletico e un'infinità di altri ammennicoli destinati ai loro giochi. La ragazza sentì di aprirsi come un fiore carnivoro, di esalare aromi di perdizione per attirare l'uomo come un insetto, triturarlo, inghiottirlo, digerirlo e infine sputare i suoi ossicini trasformati in schegge. Si sentiva dominata da un'energia incontenibile, le sembrava di soffocare, non poteva rimanere quieta nemmeno un istante, divorata com'era dall'impazienza. Nel frattempo Karl Bretzner sguazzava nella confusione, a tratti esaltato fino al delirio e a tratti esangue; cercava di mantener fede agli impegni musicali, ma le prestazioni stavano peggiorando a vista d'occhio e i critici, implacabili, dissero che sicuramente Mozart si rivoltava nella tomba a ogni esecuzione - in senso letterale - delle sue composizioni da parte del tenore viennese.
Gli amanti vedevano avvicinarsi con terrore il momento della separazione ed entrarono nella fase dell'amore osteggiato. Presero in considerazione l'ipotesi di fuggire in Brasile o di suicidarsi insieme, ma non menzionarono mai la possibilità di sposarsi. Alla fine la voglia di vivere ebbe la meglio sulle inclinazioni tragiche e dopo l'ultimo spettacolo presero una carrozza e se ne andarono in vacanza nell'Inghilterra del Nord in una locanda di campagna. Avevano deciso di godersi quei giorni di anonimato prima che Karl Bretzner si recasse in Italia per onorare altri contratti. Rose l'avrebbe poi raggiunto a Vienna una volta che lui avesse trovato un appartamento appropriato, si fosse organizzato e le avesse spedito i soldi per il viaggio.
Stavano facendo colazione sotto una tenda nella terrazza dell'alberghetto, con le gambe avvolte da una coperta di lana, perché il vento della costa era freddo e tagliente, quando vennero interrotti da Jeremy Sommers, indignato e solenne come un profeta. Rose aveva lasciato un tale numero di indizi che per il fratello maggiore non era stato difficile localizzarla e raggiungerla fino a quella remota stazione balneare. Quando lo vide, Rose gridò di sorpresa più che di spavento, perché era ringalluzzita dall'agitazione dell'amore. In quell'istante si rese conto per la prima volta di ciò che aveva commesso, e il peso delle conseguenze le si rivelò in tutta la sua enormità. Si levò in piedi, decisa a difendere il diritto a vivere come meglio credeva, ma il fratello non le diede tempo di parlare e si rivolse direttamente al tenore.
"Lei deve una spiegazione a mia sorella. Immagino non le abbia detto che è sposato e che ha due figli," affrontò il seduttore.
Questa era l'unica cosa che Karl Bretzner aveva omesso di raccontare a Rose. Avevano parlato fino alla sazietà, lui le aveva affidato persino i più intimi particolari degli amori precedenti, senza tralasciare le stranezze del marchese di Sade raccontategli dal suo mentore, la francese dagli occhi di tigre, perché Rose aveva dimostrato una curiosità morbosa nel voler sapere quando, con chi e specialmente come aveva fatto l'amore, dai dieci anni fino al giorno in cui aveva conosciuto lei. E lui le aveva rivelato tutto senza scrupoli non appena si era accorto di quanto le piacesse ascoltare tutto ciò e di come lo includesse nella propria teoria e nella pratica. Ma della sposa e dei figli non aveva fatto parola per compassione nei confronti di quella bella vergine che si era data a lui senza condizioni. Non voleva distruggere la magia di quell'incontro: Rose Sommers meritava di godersi il suo primo amore a piene mani.
"Deve riparare l'offesa," lo sfidò Jeremy Sommers attraversandogli il volto con un ceffone.
Karl Bretzner era un uomo di mondo e non aveva intenzione di commettere la barbarie di battersi in duello. Capì che era giunto il momento di battere in ritirata e si dispiacque di non poter stare qualche momento da solo con Rose per spiegarle la situazione. Non voleva lasciarla con il cuore a pezzi e con l'idea che lui l'avesse sedotta in cattiva fede per poi abbandonarla. Aveva bisogno di dirle ancora una volta quanto davvero l'amava e che gli dispiaceva di non essere libero per realizzare i loro sogni, ma lesse sul volto di Jeremy Sommers che non glielo avrebbe concesso. Jeremy prese per un braccio la sorella, che sembrava inebetita, e la condusse con decisione alla carrozza, senza darle l'opportunità di congedarsi dall'amante né di prendere il suo poco voluminoso bagaglio. La portò in Scozia, a casa di una zia, dove sarebbe dovuta rimanere fino a quando non fosse stato chiaro il suo stato. Se si fosse trattata della peggiore delle disgrazie, come Jeremy Sommers aveva definito una gravidanza, la sua vita e l'onore della famiglia sarebbero stati distrutti per sempre.
"Non una parola a nessuno a questo proposito, né alla mamma, né a John, intesi?" fu l'unica cosa che disse durante il viaggio.
Rose trascorse alcune settimane nell'incertezza, finché constatò di non essere incinta. La notizia le portò un soffio di indicibile sollievo, come se il cielo l'avesse assolta. Passò altri tre mesi di punizione a lavorare a maglia per i poveri, a leggere e a scrivere di nascosto, senza versare una sola lacrima. Durante quel periodo rifletté sul suo destino e qualcosa le si mosse dentro perché, terminata la clausura in casa della zia, era un'altra persona.
Solo lei si rese conto del cambiamento. Ricomparve a Londra identica a come se n'era andata, allegra, tranquilla, interessata al canto e alla lettura, senza il minimo accenno di rancore nei confronti di Jeremy per averla strappata alle braccia dell'amante o di nostalgia per l'uomo che l'aveva ingannata, serafica nella sua capacità di ignorare la maldicenza e i visi contriti dei famigliari. Superficialmente sembrava la stessa ragazza di prima; nemmeno sua madre riuscì a scoprire una crepa nel suo contegno perfetto che lasciasse spazio a un rimprovero o a un consiglio. D'altronde, la vedova non era in grado di aiutare la figlia o di proteggerla; un cancro la stava divorando rapidamente. L'unico mutamento nel comportamento di Rose fu quella fisima di passare ore intere a scrivere chiusa in camera. Riempiva con la sua minuscola grafia dozzine di quaderni che teneva sono chiave. Siccome non cercò mai di spedire una lettera, Jeremy Sommers, che temeva sopra ogni cosa lo scherno, smise di preoccuparsi per il vizio della scrittura e immaginò che la sorella avesse avuto il buon senso di dimenticare il nefasto tenore viennese. Lei, invece, non solo non l'aveva dimenticato, ma ricordava con precisione certosina ogni minimo dettaglio di quanto era successo e ogni parola detta o sussurrata. L'unica cosa che aveva cancellato dalla sua mente era la delusione di essere stata ingannata. La moglie e i figli di Karl Bretzner semplicemente sparirono, senza trovare posto nell'immenso affresco dei suoi ricordi d'amore.
Il ritiro in casa della zia in Scozia non fu sufficiente a evitare lo scandalo, ma siccome non si poterono confermare i sospetti, nessuno osò fare apertamente uno sgarbo alla famiglia. A uno a uno riapparvero i numerosi pretendenti che la tormentavano prima, ma Rose li allontanò con il pretesto della malattia della madre. Ciò che si tace é come non fosse mai accaduto, sosteneva Jeremy Sommers, disposto a sopprimere con il silenzio qualsiasi vestigia di quell'episodio. L'imbarazzante fuga di Rose rimase sospesa nel limbo delle cose da non nominare, per quanto a volte i fratelli facessero riferimenti che, pur mantenendo vivo il rancore, li univano nel segreto da condividere. Alcuni anni dopo, quando ormai a nessuno la vicenda importava più, Rose trovò la forza di raccontarla a John, agli occhi del quale aveva sempre svolto il ruolo di bambina viziata e innocente. Poco dopo la morte della madre, a Jeremy Sommers fu offerto di farsi carico dell'ufficio della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione in Cile. Partì con la sorella Rose, portandosi dietro il segreto, intatto, dall'altra parte del mondo.
Arrivarono in Cile verso la fine dell'inverno del 1830, quando Valparaìso era ancora un villaggio, ma esistevano già compagnie e famiglie europee. Rose considerò il Cile la sua penitenza e l'assunse stoicamente, rassegnata a pagare l'errore con quell'esilio irrimediabile, senza consentire a nessuno, e men che meno al fratello Jeremy, di sospettare quanto fosse disperata. La disciplina che le impediva di lamentarsi e di parlare, anche nel sonno, dell'amante perduto, la sostenne quando le difficoltà la sopraffecero. Cercò di sistemarsi nell'hotel il meglio possibile, decisa a stare al riparo dalle raffiche di vento e dall'umidità, perché si era diffusa un'epidemia di difterite che i barbieri del posto combattevano con inutili quanto crudeli operazioni chirurgiche praticate a coltellate. La primavera e poi l'estate placarono in parte la cattiva impressione che aveva del paese. Decise di dimenticare Londra e di trarre profitto dalla nuova situazione, malgrado l'ambiente provinciale e il vento di mare che le perforava le ossa anche nei mezzogiorni di sole. Convinse il fratello, e quest'ultimo la compagnia, della necessità di comprare una casa decente a nome dell'impresa e di farsi mandare i mobili dall'Inghilterra. La pose come una questione di autorevolezza e prestigio: non era possibile che il rappresentante di un ufficio così importante alloggiasse in un albergo da quattro soldi. Diciotto mesi dopo, quando la piccola Eliza entrò nella loro vita, i due fratelli vivevano in una grande casa sul Cerro Alegre, Miss Rose aveva relegato l'amante in un compartimento stagno della memoria e si dedicava completamente a conquistare un posto di privilegio nella società in cui viveva. Negli anni successivi Valparaiso si ampliò e si modernizzò alla stessa velocità con cui lei si lasciava alle spalle il passato e si trasformava nella donna esuberante e dall'aria felice che undici anni dopo avrebbe conquistato Jacob Todd. Il falso missionario non fu il primo a essere rifiutato, ma lei non aveva interesse a sposarsi. Aveva scoperto una formula straordinaria per continuare l'idilliaca storia d'amore con Karl Bretzner, rivivendo ognuno dei momenti della loro incendiaria passione e altri deliri inventati nel silenzio delle sue notti nubili.